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Alla manifestazione a Mineo c’era anche una donna. Si chiama Sofia ed è una ragazza nigeriana. Indossava pantaloni attillati e una maglietta rossa. Ma non era un’ospite del centro di accoglienza. E non protestava per il rilascio dei documenti. Lei sulla statale ci lavora. Vende l’amore per pochi euro al migliore offerente. All’inizio non l’avevamo vista. Di lei c’erano soltanto due tracce. Un fazzolettino di carta sporco di sangue e qualche treccina di extension strappata dai capelli e buttata a terra a pochi metri dal ciglio della statale, dove comincia una stradina sterrata che corre in salita tra l’erba alta su per la collina. Appena ce ne siamo accorti, verso le 14:00, ci siamo allontanati dal presidio con alcuni ragazzi nigeriani e siamo saliti assieme su per i campi, un po’ incuriositi e un po’ preoccupati.
Quando l’ho richiamata, la sera, Sofia era ancora in questura a Catania. Ce l’hanno portata dopo l’ospedale. I documenti non sono in regola, potrebbero portarla in un centro di identificazione e espulsione e rispedirla in Nigeria. Abbiamo contattato un avvocato. Forse servirà a evitarle un’espulsione. Ma di sicuro non allevierà la nostra vergogna. La vergogna di un paese che colpisce con tanta violenza istituzionale una ragazza già colpita dalla violenza delle mafie e della prostituzione.