MIGRARE SIGNIFICA GIA’ CAMBIARE IL MONDO

Migrare significa già cambiare il mondo. Spostarsi nell’era dell’aereo e della rete telematica vuol dire cambiare sia la “cultura” del luogo di arrivo che quella del luogo di partenza.

Chi parte è sospeso nel tempo e nello spazio, condizione che trova una corrispondenza oggettiva anche nel tentativo fallimentare di codificare lo status giuridico dei e delle migranti, di incasellare in qualche modo queste vite sospese e precarie cui sono richieste capacità di auto attivazione e volontà di sottomissione, autonomia e dipendenza, creatività individuale e annichilimento personale.

Il vento di libertà che scuote il nord africa ed il medio oriente sta’ spingendo migliaia di persone migranti in fuga e a scegliere la migrazione come espressione della propria autodeterminazione.

Dopo aver rischiato la vita per attraversare il Mediterraneo, queste donne e questi uomini, incontrano i muri della Fortezza Europa  dove fino a ieri erano salutati come nuovi portatori di pace e di libertà; oggi privati di ogni diritto, trovando la barriera dei confini interni dell’ UE, aperti al mercato delle merci ma chiusi per chi cerca un futuro più libero e migliore.

La dignità, che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo considera “inerente a tutti i membri della famiglia umana” e “fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo”, è un diritto inviolabile condiviso dall’intera umanità, e non può avere una delimitazione territoriale. Violando il principio previsto dalla Convenzione di Ginevra si porta alla generalizzazione dell’uso dei centri per stranieri ad ogni livello della procedura.

L’UE ha intensificato la lotta contro la cosiddetta “immigrazione irregolare” con l’adozione della Direttiva sul ritorno nel giugno 2008 e col Patto europeo sull’immigrazione e l’asilo politico dell’ottobre dello stesso anno. Ma si lascia ancora agli Stati membri ampia possibilità di definire le politiche d’immigrazione nazionali, che portato in Italia significa la Legge Bossi-Fini e conseguenti leggi Turco-Napolitano e pacchetto sicurezza, e non ultimo il cosiddetto “accordo integrazione” ( che lega il rinnovo del permesso di soggiorno all’acquisizione di crediti formativi). Il risultato di queste politiche è stata la crescente stigmatizzazione, quando non la criminalizzazione, dei richiedenti asilo e dei/delle migranti senza documenti ( sans-papier ), e la detenzione ed espulsione di immigrati, in flagrante violazione dei diritti umani fondamentali.

Al di là delle retoriche che trasformano tutto in emergenza da invasione di orde barbariche e normalizzano la realtà come un mera questione umanitaria di migliaia di profughi, vittime, sfollati, clandestini, lo Stato italiano ha dapprima illuso migliaia di uomini e di donne concedendo un permesso di protezione temporanea a scopo umanitario ( vedi l’ultimo D.L. 8 aprile 2011 ) per “le rilevanti esigenze connesse all’eccezionale flusso di migranti dai paesi nordafricani” e poi non è in grado di consegnare nelle mani di migliaia di uomini e di donne uno spiraglio di libertà, di un’accoglienza vera e umana, di una società aperta, solidale e sempre più meticcia, fatta di scuole di italiano, sostegno legale, di case da abitare, assistenza sanitaria, scambio culturale.

Di fronte a questo enorme disagio, tuttavia, le risposte istituzionali sono esclusivamente repressive o ghettizzanti, per cui le uniche forme di intervento pubblico sono le reclusioni nei CIE e nei CARA e da ultimi le nuove galere a cielo aperto come quelli di Manduria, Palazzo S.Gervasio, S.Maria Capua Vetere e Mineo, nonché meccanismi di potere appaltati a privati e/o terzo settore, se non ai militari.

In questo complesso scenario, le migrazioni internazionali pongono nuove sfide per quanto riguarda la gestione delle città. Le aree metropolitane ed urbane sono ormai diventate il luogo d’incontro delle diversità, d’individui originari di molti paesi e di coesistenza di molte culture. La multi- etnicità oggi costituisce una delle principali caratteristiche della città contemporanea. Tuttavia, le città sembrano tendere non all’integrazione delle/dei migranti ma al contrario alla loro esclusione e segregazione all’interno di aree informali. I crescenti flussi di migrazioni internazionali e l’intensificazione dei problemi di povertà urbana costringono la maggior parte delle e dei migranti a dover trovare soluzioni alloggiative informali, che tendono a rafforzare il circolo vizioso della povertà e delle divisioni della società. Dunque se da una parte i network informali sono importanti per l’inserimento abitativo e lavorativo delle e dei migranti dall’altra tendono a creare comunità chiuse e a rafforzare la segregazione urbana.

La stabilizzazione negli ultimi anni del fenomeno migratorio e la sua intensificazione ha portato ad un aumento della domanda di abitazioni a basso costo da parte delle e dei migranti. Viste le difficoltà ad accedere ad una abitazione sul mercato e la mancanza di assistenza da parte dello Stato, nonché la complessità d’accesso per l’assegnazione di case popolari ( in quanto si richiede, secondo la legge 189, che lo straniero sia in possesso di carta di soggiorno,con validità di almeno due anni e che eserciti regolare attività lavorativa o sia titolare dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria), attualmente la ricerca di una casa passa inevitabilmente attraverso il libero mercato, dove le e i migranti vengono discriminati sia per quanto riguarda l’affitto che l’acquisto di una abitazione.  Di conseguenza tutti/e i/le migranti che lavorano nel mercato nero o coloro che non hanno un regolare permesso di soggiorno sono esclusi dall’edilizia residenziale pubblica e sono solitamente costretti a vivere in urban slums ( abitazioni informali ) senza servizi sanitari e scolastici, negli argini dei fiumi, nelle stazioni, lungo le ferrovie, nei giardini pubblici, in fabbriche e capannoni industriali dismessi o in edifici occupati. Si connota, inoltre, la tendenza ad una polarizzazione, dove, da un lato i/le migranti di vecchio insediamento sono riusciti negli anni a stabilizzare un minimo la propria condizione, dall’altro si assiste ad una persistente precarietà o ad un peggioramento per le componenti più deboli ed all’inizio del proprio percorso migratorio come per i rifugiati politici.

Fino a qualche tempo fa, intorno al nodo migrazione-lavoro si risolvevano in avanti le enormi contraddizioni che i movimenti migratori proponevano sul terreno della cittadinanza e dei diritti a tutta l’ Europa. Tutti i governi del Trattato di Schengen facevano i conti con questa centralità dei e delle migranti nei processi produttivi. Il governo della mobilità sui corpi in movimento si è spinto oltre, fino a diventare più compiutamente governo della vita, della morte. Tuttavia la mancanza di un progetto migratorio in termini di prospettive di lavoro e di reti di lavoro rende il percorso migratorio individuale e complesso.

L’accordo di integrazione subordinerà a breve il diritto di soggiorno dei nuovi arrivati ad una valutazione, non più attestata solo sulle loro possibilità lavorative e abitative ma invece su una radiografica ispezione degli stili di vita, delle opzioni relazionali che esprimono i soggetti in questione, misurate in crediti. Essi propongono un mutamento qualitativo del ricatto e della precarietà del diritto di soggiorno. L’altra faccia di questo terreno di contesa è rappresentata dalla clandestinità. Il reato di immigrazione clandestina, i respingimenti, il prolungamento della detenzione nei CIE e nei CARA, hanno dato forma, materialmente e simbolicamente, ad una nuova intensità del comando sugli esseri umani. La clandestinità è diventata piuttosto, fino in fondo, un paradigma politico e sociale giocato su diversi fronti, con diversi gradi di intensità e drammaticità.

In un futuro molto vicino gran parte della popolazione mondiale vivrà in zone urbane e metropolitane. La crisi strutturale di questo sistema e l’aumento demografico porteranno a un innalzamento drastico della conflittualità sociale con insurrezioni e rivolte sempre più diffuse.

I/le migranti sono consegnati/e ad un destino di ricatti, liberi di essere invisibili, costretti ancora alla violenza dei confini.

Vogliamo provare a immaginare e costruire uno spazio Euro­-mediterraneo dei diritti dove le vecchie frontiere si trasformino in ponti, dove il mare torni ad essere un mezzo di scambio e comunicazione, nonché di collegamento, tra i popoli e smetta una volta per tutte di funzionare da strumento di divisione, morte e confinamento.

Abbiamo visto con i nostri occhi e sentito con i nostri corpi i confini dell’Europa alzati contro il treno della dignità, che correva dagli sbarchi della speranza e della libertà a Lampedusa, per sostare nei luoghi della reclusione e della rassegnazione dei vari campi di concentramento come a Manduria e proiettati fino alla stazione dell’intermittenza emergenziale a Ventimiglia. Quei confini sono stati alzati per fermare i/le migranti ma soprattutto per proteggere un’idea di Europa che noi rifiutiamo.

Le donne e gli uomini che giorno dopo giorno percorrono il cammino della propria dignità hanno il diritto di muoversi senza confini.

Un’accoglienza dignitosa e il riconoscimento della libertà di circolazione sono misure doverose, senza se e senza ma.

Se i governi nazionali accampano ipocrite distinzioni tra profughi e migranti irregolari o criteri basati sul momento di arrivo sul suolo della Fortezza Europa per negare a queste donne e a questi uomini la necessaria protezione umanitaria, occorre intrecciare dal basso, in maniera orizzontale, ponti di cooperazione per difendere i loro diritti.

Sostenere e partecipare a iniziative per la libertà di circolazione e contro ogni respingimento e rimpatrio, per riaprire le frontiere, per garantire il libero accesso al territorio europeo, per la messa in pratica di azioni che tentino di disinnescare i dispositivi del controllo sui corpi, per sabotare la mercificazione dei flussi umani, per abbattere ogni CIE e recidere le reti dei CARA…

…per ribadire che NESSUN UOMO E DONNA E’ ILLEGALE.

f.s.

Informazioni su Madmoudi Abderrazzak

http://contradatripoli.noblogs.org/post/2011/04/17/madmoudi-abderrazzak/
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